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FEDERIGO CAPRILLI IL CAVALIERE VOLANTE

Scrivere uno spettacolo su Federigo Caprilli significa affrontare un personaggio sfaccettato e che per molti aspetti ricorda il Cyrano De Bergerac disegnato da Rostand. E proprio il drammaturgo francese in un suo verso afferma che l’epitaffio di ogni cavaliere dovrebbe essere Mort à cheval et au galop: ufficialmente il Capitano Federigo Caprilli morì cadendo da un morello che andava al trotto.
Ma la “vulgata” sussurra molto altro sulla morte e sulla vita del livornese che “inventò” l’equitazione moderna. Romanzesca fu, in effetti, la vita del “Cavaliere volante”, tanto che dietro le biografie più o meno ufficiali restano celati amori passionali, figure di nobildonne, attrici e mariti traditi; ma anche storie di sfide olimpiche, di militari gelosi e di promozioni negate. Fino al mistero più grande: quello che dal 1907 circonda la sua morte, avvenuta a Torino in circostanze mai del tutto chiarite.
Raccontare di Caprilli, dunque, significa muoversi tra fatti reali e voci mai confermate, tra certezze concrete ed ipotesi costruite a tavolino: cosa che rende ancora più stimolante un lavoro di scrittura drammaturgica che prende spunto da fatti concreti e personaggi realmente esistiti, per muovere ad una ricostruzione romanzata, ma del tutto plausibile, del carattere del personaggio e della sua vita. Se questo sembra “tradire” quel che Caprilli fu, in realtà permette di far affiorare aspetti della sua personalità e del suo modo di essere che si affrancano dallo stereotipo di cui la sua immagine, da quasi un secolo, è rimasta prigioniera: quello del donnaiolo impenitente, dedito esclusivamente alla bella vita di corte alla quale fu introdotto dall’amico fraterno, il conte Emanuele di Bricherasio.
Caprilli fu anche questo, ma non solo questo. Ecco perché, piuttosto che procedere ad una rappresentazione della sua vita appiattita su un’unica dimensione, si è preferito sfruttare tutto quanto è affiorato dalle ricerche storico-documentarie per restituire un Caprilli sfaccettato: a partire dalle sue grandi capacità di innovatore della tecnica equestre e di istruttore, per arrivare a mostrarlo preda di quelli che, realisticamente, furono le sue paure, i suoi dubbi, le sue difficoltà di fronte ad un nuovo modo di concepire l’equitazione fortemente osteggiato dalle alte sfere militari; insomma, fino a cercare di mettere in scena non una semplice silhouette, ma un uomo a tutto tondo.

Fatto questo primo passo ci siamo spinti oltre. Ciò di cui si arricchisce il carattere conferendogli quegli attributi di umanità che emergono dalle informazioni raccolte, ci ha spinto, infatti, a farne oltre che un personaggio reale, anche un personaggio esemplare.
Per riuscire in questo ci siamo lasciati guidare più liberamente da suggestioni collegate all’epoca in cui egli visse: quella Belle Époque europea che, abbigliata dei tratti gentili ed eleganti della spensieratezza e del benessere borghese, già portava in seno i germi di quella crisi profonda che sfocerà nella Grande Guerra. Una crisi che, prima ancora che economica, fu crisi delle coscienze: ed è proprio questa che si riflette nell’immagine del Caprilli delineato in questo testo.
Egli porta dentro di sé tutta la stridente contraddizione del passaggio dal modo vecchio, fatto di corpi fisici e frementi, a quello nuovo, fatto di metallo e di macchine. Così Caprilli diventa specchio di quell’epoca di transizione che, perduti i propri punti di riferimento, finirà con il “suicidarsi” gettandosi nel baratro della guerra. Per lui, invece, l’unica via d’uscita diventa il distacco dalle persone e dal mondo; un distacco che si compie d’un balzo: quello che, in sogno, in sella al suo cavallo, lo porta a vincere la forza di gravità e spiccare il volo, forse verso quegli stessi Imperi della Luna e del Sole a cui il vero Cyrano De Bergerac immaginava di involarsi nei suoi racconti.